L’obbligo della forma scritta è ancora attuale per la stipulazione di contratti di lavoro?

HR Today

Fondamentalmente, la legge non prescrive la forma scritta, i contratti di lavoro possono essere stipulati anche oralmente. Fa eccezione il settore del lavoro temporaneo. Nel campo del prestito di personale, l'art. 19, cpv. 1 della Legge sul collocamento (LC) sancisce che, di regola, il prestatore deve concludere per iscritto il contratto con il lavoratore. Prima dell'inizio del lavoro, insomma, il contratto deve essere allestito e firmato da entrambe le parti. Anche successive modifiche contrattuali necessitano della forma scritta.

Chi punta a un rapporto di lavoro a corto termine ben difficilmente vorrà perdersi in scartoffie, a maggior ragione se lavoratore e azienda si sono trovati con un paio di clic su una piattaforma e altrettanto facilmente si sono accordati sulle modalità di impiego. L'avanzare della digitalizzazione sta mettendo in luce gli ostacoli causati dall'obbligo della forma scritta. È quindi per lo meno lecito chiedersi se questa regola sia ancora uno strumento adeguato per le stipulazioni contrattuali nell'ambito delle nuove e più flessibili forme di impiego. La Legge sul collocamento (LC) risale alla seconda metà degli anni Ottanta. All'epoca, la firma autografa era l'unica forma possibile per stipulare un contratto. Il desiderio del legislatore era quello di proteggere a dovere i lavoratori temporanei. Ma i contratti di lavoro firmati di proprio pugno garantiscono davvero una protezione migliore? Sono più sicuri di quelli stipulati in altro modo?

La forma scritta non garantisce alcuna protezione particolare alle parti contraenti

Le disposizioni legate alla forma consentono di chiarire e di dimostrare i contenuti pattuiti. Per tutelare le parti contraenti (in particolare i lavoratori), tuttavia, la forma cartacea e la firma autografa sono ormai da tempo superate. Meccanismi digitali offrono oggi diverse possibilità di rendere un accordo dimostrabile e non modificabile in un secondo tempo, e consentono alle parti di avere a portata di mano prove documentali dell'avvenuta stipulazione. I lavoratori possono per esempio consultarle in qualsiasi momento prima dell'inizio dell'impiego tramite posta elettronica o un'apposita applicazione, senza contare la maggiore facilità di attirare l'attenzione su informazioni specifiche rispetto ai processi basati su carta. I contratti firmati di proprio pugno non offrono dunque assolutamente una protezione migliore di quelli stipulati con altre modalità. La forma scritta non deve ostacolare le interazioni tra i contraenti né frenare il dinamismo delle procedure commerciali digitali.

Durante la pandemia di coronavirus, in considerazione dell'emergenza e delle misure delle autorità, in particolare la disposizione del Consiglio federale legata al telelavoro, i contratti di impiego sono stati stipulati temporaneamente con una «semplice» firma digitale, una scansione di un documento PDF firmato o una risposta per e-mail. In tale situazione straordinaria, è stato possibile dimostrare che la forma elettronica (e-mail, firma su schermo tattile, scansione di una firma autografa ecc.) non ha alcuna ripercussione negativa sul rapporto di lavoro né sulla protezione dei lavoratori.

Le prescrizioni in merito alla forma scritta impediscono lo svolgimento digitale di un affare

Le prescrizioni legate alla forma complicano considerevolmente l'attività informatica e basata sulle tecnologie dei servizi per il personale nell'era digitale. La necessità della forma scritta richiede tempo e comporta costi, e intralcia l'ottimizzazione digitale in seno alle aziende prestatrici, indipendentemente dalla natura del modello commerciale. Per le ditte che fanno riferimento a una piattaforma digitale si tratta di un ulteriore ostacolo che rende impossibile una gestione completamente automatizzata. Anche per i servizi digitalizzati, infatti, occorre stampare, firmare e inviare per posta un documento contrattuale. Ne conseguono un impedimento per le procedure digitali, un'interruzione del flusso di informazioni e una mescolanza di processi digitali e analogici.

È vero, esiste una firma elettronica equiparata a quella autografa (art. 14, cpv. 2bis CO), ma i requisiti ai sensi della FiEle sono talmente elevati da impedirne l'affermazione nella prassi a causa delle spese, nonché dell'onere organizzativo e tecnico. Il no alla Legge federale sui servizi d'identificazione elettronica (Legge sull'Ie) ha ulteriormente rallentato la diffusione della firma elettronica qualificata ai sensi della FiEle. E anche se le firme elettroniche dovessero prendere piede tra le aziende, le lacune in tal senso tra i privati continuerebbero a essere da ostacolo alla gestione digitale degli affari.

L'obbligo della forma scritta è in contraddizione con la realtà vissuta

Finché i contratti necessiteranno di una forma autografa, all'economia e alla società sarà negata la possibilità di operare e di gestire gli affari a livello digitale, il che significa dover continuare a stampare, firmare e inviare per posta i documenti del caso. La crisi pandemica ha mostrato chiaramente che l'attuale legislazione in materia è più che mai in contraddizione con il rapido avanzamento della digitalizzazione e le esigenze pratiche dell'economia e della società. Urge quindi adeguare il diritto alle possibilità tecnologiche e agli attuali requisiti. Serve palesemente una reinterpretazione della forma scritta. Essa deve conferire ai contraenti la necessaria sicurezza, ma parallelamente non deve ostacolarne le interazioni né frenare il dinamismo delle procedure commerciali digitali. Una semplice forma digitale comprovabile offre ai lavoratori questa sicurezza e consente di stipulare contratti a prova di rischio di modifiche a posteriori.

Potrebbe interessarti anche...