Gestione del talento: la strada sbagliata

Che cosa significa gestione del talento?

Si è talmente abusato del concetto di gestione del talento che è necessario definirlo di nuovo. L'idea di fondo che si ha della gestione del talento è corretta, e a mio modo di vedere è una sfida e un compito essenziale delle risorse umane. Ma la strada che molti seguono è sbagliata. È come se uno volesse praticare uno sport di resistenza e decidesse di giocare a scacchi. Entrambi sono sport, ma l'obiettivo iniziale di allenare la resistenza viene completamente fallito. La gestione del talento è un concetto in costante mutamento. In Svizzera e in altri paesi moderni dovremmo parlare di caccia al talento e di assistenza al talento. Ma soprattutto le aziende che operano con un settore delle risorse umane hanno finora mancato questa evoluzione. Oggi utilizziamo concetti come battaglia per i migliori talenti, azienda di riferimento e immagine del datore di lavoro. Viene investito un sacco di denaro per distinguersi dalla concorrenza e mostrare che si è i più belli, i migliori. Ma così facendo si manca l'obiettivo e ci chiediamo come mai ci sia penuria di talenti.

E come mai c'è penuria di talenti?

Credo ci siano due spiegazioni. In primo luogo, le aziende tendono a diffondere messaggi artificiosi e informazioni superficiali, in secondo luogo i talenti vogliono essere presi sul serio, percepire l'autenticità dell'azienda, avere una scelta. Esistono per esempio officine di tirocinio a cui aderiscono diverse ditte per proporre condizioni di formazione ottimali. Perché non si fa la stessa cosa per i talenti? Aziende dello stesso settore o chiamate ad affrontare sfide analoghe potrebbero unirsi e coltivare i talenti. La realtà è molto diversa: finché le imprese continueranno a guardare ai collaboratori come una loro proprietà, sarà impossibile evolvere e le soluzioni creative avranno vita durissima. È la strada sbagliata.

Quali sono le conseguenze di questo modo di pensare?

Si genera una catena di malintesi. Le aziende dovrebbero capire che occorre un approccio creativo, proattivo e versatile. Per il momento, ciò non è ancora il caso: i reclutatori devono rispettare i loro processi obsoleti, si utilizzano sempre le stesse inserzioni e sui media sociali vengono pubblicati testi di una piattezza imbarazzante. Non deve quindi stupire la magrezza dei risultati. Quando poi arriva una candidatura, a fare danni ci pensano gli algoritmi degli automi apparentemente dotati di intelligenza artificiale, che non riconoscono e, quel che è peggio, allontanano i talenti. A conti fatti, la domanda più importante resta senza risposta: «Dove diavolo sono tutti questi talenti?».

Segue il rifiuto da parte dell'azienda, benché la candidatura sia di un grandissimo talento...

Esatto. Oggi i talenti vengono ancora cercati in base alle capacità, alla formazione, alle lingue, al domicilio e alle esperienze. Tutti i nostri processi poggiano su questi criteri, su descrizioni dell'impiego e profili ormai superati, su lettere di candidatura colme di superlativi e di aggettivi enfatici, su curriculum vitae magniloquenti. Non sono un grande sostenitore delle lettere di candidatura e dei curriculum vitae: non svelano nulla della personalità e delle capacità del candidato, né del suo approccio e della sua vera motivazione. A mio modo di vedere, l'approccio e la motivazione sono elementi da approfondire sistematicamente, da discutere e da confrontare.

Quindi come deve essere impostata una buona gestione del talento?

I talenti devono essere cercati, assunti e sviluppati secondo il loro potenziale. Deve instaurarsi un'interazione armonica tra l'azienda e il talento, con condizioni quadro, regole e scadenze chiare. Sto parlando di una pianificazione della carriera lungimirante ed equa basata sulla personalità, sulle capacità e sugli interessi. Sia l'azienda sia il talento devono dimostrare la disponibilità e l'impegno a stringere accordi vincolanti, a mantenere le promesse e a investire l'una nell'altro. È questa la vera gestione del talento o, come detto prima, l'assistenza al talento.

È sempre più difficile trovare talenti. Vero o falso?

Per me è una scusa per giustificare le opportunità mancate, significa non capire che cosa serve per trovare e conquistare i talenti desiderati. Dobbiamo cambiare il nostro approccio. I talenti devono percepire l'interesse genuino delle aziende. Sono convinto che non c'è un divario tra offerta e domanda, semplicemente i talenti sono diventati più esigenti, selettivi e sicuri di sé. È come nella pesca: se butto l'amo sempre più o meno nello stesso posto e con la stessa esca, i pesci pensano: «Ancora il solito verme? Voglio qualcosa di meglio, voglio che mi si corteggi, che mi si prenda sul serio». È ovvio che il paragone zoppica, però illustra bene di che cosa stiamo parlando. I talenti vogliono essere corteggiati e presi sul serio, chiedono sicurezza, ragionevolezza, ricchezza di opportunità e onestà. Molte ditte si presentano male, si svendono e, a causa di processi vetusti, mancano un'opportunità dopo l'altra. Servono individualità, personalità, flessibilità, creatività e il coraggio di esplorare nuovi scenari. Occorre dimostrare vero interesse nei confronti dei talenti, ogni candidato è un prezioso ambasciatore dell'azienda, di questo bisogna essere consapevoli.
In futuro, in ragione delle qualifiche necessarie ci saranno pochi vincitori e tanti perdenti.

Che cosa farebbe in qualità di datore di lavoro?

Sono d'accordo. Questa tendenza non è ancora osservabile chiaramente perché la situazione economica gioca a nostro favore, ma presto le frizioni saranno evidenti. A mio modo di vedere, dobbiamo stare al passo con i tempi e conservare la virtù della curiosità. I datori di lavoro hanno una responsabilità sociale ed economica nei confronti dei collaboratori. Dobbiamo investire tempo e risorse nella loro formazione continua e nello sviluppo della loro personalità.

Riassumendo, quali sono i cinque punti deboli dell'attuale gestione del talento?

  • Del talento si conoscono sempre solo le solite informazioni, che però dicono poco o nulla. L'attenzione andrebbe incentrata sulle capacità e sull'approccio.
  • Il punto di vista è troppo ristretto: ci basiamo su descrizioni dell'impiego che l'indomani sono obsolete. In questo modo, è impossibile stare dietro all'odierno dinamismo del mondo del lavoro. L'attenzione deve essere focalizzata su opportunità e prospettive, in fondo si chiama appunto GESTIONE del talento.
  • I reclutatori manifestano ignoranza e disinteresse: chi è chiamato a scovare e a convincere i talenti spesso conosce troppo poco la propria azienda e i profili che cerca, con tanti saluti alla competenza, alla passione e al fuoco sacro.
  • Le aziende devono capire finalmente che i talenti vogliono essere corteggiati. Il marketing deve concentrarsi maggiormente su questo aspetto.
  • Non ci sono accordi vincolanti: le aziende si aspettano che uno o due colloqui e/o una giornata di prova bastino a generare lealtà e spirito di identificazione. Non è realistico.

In poche parole, deve soffiare un vento di rinnovamento. È finita l'epoca in cui si poteva reclutare con disinteresse.

Che cosa consiglierebbe di fare per trovare un talento?

La passione, l'autenticità e la convinzione di un reclutatore e di un selezionatore si percepiscono subito. Bisogna far lavorare solo i reclutatori che sono anche convinti sostenitori dell'azienda in questione. In questo senso, è un ottimo esempio lo spot della Heineken «The Candidate». Parliamo di identificazione, di orgoglio, di passione. Deve essere questo l'obiettivo.

Che cosa la preoccupa in questo momento in Svizzera?

Conosco un gran numero di aziende svizzere, è uno dei vantaggi della mia posizione che mi ha sempre entusiasmato. Posso affermare che le imprese svizzere sono molto competitive e aperte a nuove idee. L'economia elvetica non mi preoccupa. Lo fanno invece le regole che la politica minaccia sempre di imporre. Le intenzioni sono buone, ma la comprensione delle conseguenze è carente. Se si gira la ruota di un ingranaggio complesso, bisognerebbe badare alle ripercussioni su tutto il resto. La politica, le associazioni e le comunità di interessi vogliono regolamentare in misura eccessiva il nostro Stato liberale, libero e federalista, e ciò può avere conseguenze devastanti sulla nostra capacità economica, sul dinamismo, sulla concorrenzialità e, in ultima analisi, sui posti di lavoro. Questo sì, mi preoccupa.

E che cosa invece la rende felice?

Si tratta di orgoglio, più che di felicità. Sono orgoglioso di vivere in un paese con buone condizioni quadro, una forte tradizione, lavoratori motivati, aziende sane e innovative, e pace politica. E potrei proseguire con l'elenco delle virtù elvetiche. Quello che voglio dire è che viviamo in un paradiso che ci siamo guadagnati, talvolta difettiamo di consapevolezza e gratitudine. Molte cose diventano abitudine. Riflettiamo sui punti di forza e sulle qualità di quello che è uno dei paesi più straordinari del mondo. Sono felice di esserne parte anche negli anni a venire.

Intervista di Julia Bryner, responsabile Marketing ed eventi, swissstaffing

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