Generazioni: war for experience

HR Today


Oggi tutti parlano della lotta per le migliori «menti» della nuova generazione. Più le giovani generazioni diventano esigue, più importante diventa anche la battaglia per le migliori «menti» della vecchia generazione.

Nel 1988 Ed Michael, della consulenza aziendale McKinsey, introdusse negli uffici di gestione del personale il concetto di «war of talents» («guerra dei talenti»). Già allora egli avvisò le aziende in modo perentorio: «In order to keep the pipeline full of talented people almost all of the companies have to take nontraditional approaches to recruiting.» («Al fine di mantenere la catena produttiva piena di persone talentuose, ogni azienda deve adottare approcci non tradizionali nel reclutamento.»)

Questi «approcci non tradizionali nel reclutamento» si applicavano – e si applicano – in primo luogo alla ricerca di giovani leve adatte al ruolo. Da un lato, è logico: le classi di età che iniziano a farsi strada nella vita lavorativa diventano sempre più esigue, in Svizzera come nella maggior parte dei paesi industrializzati. La diminuzione del potenziale di forza lavoro minaccia il dinamismo di tutta l'economia nazionale e stimola la creatività delle imprese per non perdere l'attrattiva nei confronti dei giovani talenti.

Ma, d'altro canto, è anche un po' unilaterale. Tutte le aziende, le istituzioni e gli uffici pubblici pescano nel bacino quasi prosciugato delle giovani «menti», ciò che due decenni fa era ancora non-tradizionale è diventato una modalità ordinaria di reclutamento. Al contrario, quasi nessuno si occupa dei grandi serbatoi situati proprio accanto e pieni di altri potenziali finora poco utilizzati. Uno dei più importanti tra questi serbatoi, e in ogni caso quello più fortemente in crescita, è quello delle forze lavoro con esperienza.

È già evidente che non tutti possono vincere la cosiddetta «war of talents»: già oggi le giovani leve non bastano per soddisfare tutte le esigenze delle aziende. Se il divario tra l'offerta di talenti e la richiesta di lavoro continua a crescere, gli scontri per avere le «menti» migliori aumenteranno anche in altri segmenti del mercato del lavoro. Da ciò può scaturire senz'altro una «war for experience» («guerra per l'esperienza») – in fondo, la maturità e l'esperienza sono due qualità che alle giovani leve mancano per definizione.

In questa situazione può essere opportuno modificare gli approcci nel reclutamento, almeno a titolo di prova. I talenti, in fondo, non arrivano solo direttamente dall'università.

Formazione: l'apprendimento infinito

L'apprendimento non è più circoscritto a un periodo della vita, ma avviene a qualsiasi età e in modalità diverse. Negli adulti gran parte dell'aumento del sapere è costituita da ciò che si apprende sul posto di lavoro, talvolta anche senza rendersene conto.

In termini statistici, l'apprendimento per tutta la vita in pratica non esiste. Da un'indagine sull'impiego del tempo condotta nel 2012 dell'Ufficio Federale Tedesco di Statistica è emerso che i soggetti dai 10 ai 18 anni impiegano per la formazione e l'apprendimento un tempo medio pari a circa 1400 ore annuali, principalmente per le lezioni scolastiche e i compiti a casa. Nella fascia dai 45 ai 65 anni, invece, il totale delle ore annuali è risultato, mediamente, solo di 24 circa, 4 minuti al giorno!

Appena concluso il tradizionale periodo di apprendimento scolastico e universitario, gli adulti sembrano cessare la propria formazione una volta per tutte. Un po' di corsi d'aggiornamento sul posto di lavoro, un po' per conto proprio, e i pochi che decidono tardivamente di frequentare un primo o un secondo corso universitario. Oltre questo, gli statistici non registrano nient'altro. Nella rilevazione precedente sull'utilizzo del tempo in Germania, svolta nel 2001, l'immagine risultante non era molto diversa: il tempo medio dedicato da ciascun cittadino alla formazione era sì più elevato, ma soprattutto perché allora la percentuale di giovani sul totale della popolazione era maggiore.

In realtà, però, l'apprendimento è decisamente più diffuso di quanto appaia nelle statistiche. Perché i lavoratori della conoscenza accumulano, nel loro tempo di lavoro regolamentare, nuove cognizioni e nuove capacità da utilizzare. Nei calcoli degli statistici non emerge questo apprendimento che avviene durante il lavoro e tramite il lavoro: essi misurano solo quelle attività che l'intervistato stesso classifica come tempo dedicato alla formazione.

Gran parte delle cosiddette conoscenze acquisite è un «sapere implicito»: la persona sa come funziona qualcosa, senza volerlo o poterlo descrivere, in parte non è nemmeno consapevole di avvalersi di conoscenze particolari. Le aziende applicano una quantità di metodi per trasformare tale sapere implicito in esplicito, sotto forma di istruzioni per l'uso o con banche dati del sapere, con concetti come management del sapere o knowledge engineering. I successi sono limitati, e in futuro buona parte di ciò che le persone apprendono sul lavoro verrà portato da un posto di lavoro all'altro.

Detlef Gürtler dell'Istituto Gottlieb Duttweiler (IGD) per swissstaffing

Potrebbe interessarti anche...